"Di ogni persona, il destino lo fa il carattere ma lo decidono gli incontri."
Per quanto si possa pensare di aver visto o semplicemente lo si desideri, per quanto si pianifichi un'avventura o invece la si immagini, esiste una parte fondamentale del viaggio dove le esperienze e la fantasia non possono arrivare. Si tratta della parte più ricercata, ciò che sarà custode di momenti unici e indimenticabili, ossia gli incontri. È inevitabile incontrare persone locali o provenienti da ogni parte e succede così di ritrovarsi tutti riuniti sotto lo stesso tetto e riuniti attorno a un tavolo. lo si fa per conoscersi o quantomeno per scambiare quattro chiacchiere in compagnia. A volte si ascoltano episodi di vita, altre volte si ascoltano storie più o meno veritiere, altre volte dei racconti. Quando è stato possibile ho colto l'occasione per verificare la popolarità di alcuni personaggi reali o di fantasia. Ho scoperto che Pinocchio è il più conosciuto in assoluto, ovunque tutti sanno la storia del burattino bugiardo. Questo è quanto ricordo, delle persone invece è rimasto un blando ricordo. Abbiamo condiviso momenti ed emozioni per poi dimenticare. Se anche i luoghi scompaiono cosa rimane di un viaggio e perché continuare? Perché a un certo punto si scoprono persone per cui è valsa la pena partire e che ci aiuteranno a mantenere integro il sogno.
Ero arrivato a San'a da poco e per le strade di una città sconosciuta mi muovevo a caso. Fui subito colpito dal clima secco e piacevole in netta contrapposizione con quello lasciato alla partenza, era fine dicembre. Era pomeriggio e avevo deciso di spendere un paio d'ore liberamente. All'indomani sarei partito per Socotra, dunque volevo visitare quella città fosse stato per un attimo da riordare. È normale e capita di prendere strade senza chiedere indicazioni pensandco che comunque le si ricorderà nel ritorno. Si memorizzano delle insegne o cercano dei punti di riferimento in modo da identificare un luogo di passaggio. Quando possibile si gira armati di cartina trovate qua o la, altre volte si tiene lo sguardo fisso sulla mappa della propria guida e la si gira e rigira per capire e trovare una direzione. È caratteristica di ogni viaggio che al suo interno il tempo e gli spazi assumano valenze nuove, in genere si impiega molto tempo per andare e poco per tornare, ovviamente salvo imprevisti. In quell'occasione ero uscito giusto un momento dal piccolo Hotel in cui soggiornavo. Mi ero premunito di far scrivere su un foglio di carta il nome in arabo dell'albergo e il suo indirizzo. Alla peggio l'avrei consegnato a un tassista. Quel pomeriggio insomma arrivai a un antico muro. "OooOOOoo", e ancora "oooOOOoo". Il richiamo proveniva dalla parte superiore della cinta muraria dove erano raccolte diverse persone e un'ombra scuoteva il braccio nella mia direzione. Da lì a poco quell'ombra si materializzò vicino me, teneva tra le mani quello che pareva un libro. Dopo aver ricercato un immagine la mostrò divertita a me chiedendo se sapessi dove fosse quanto rappresentato. Guardai la pagina dove c'era un tipico edificio yemenita, facile da riconoscere per il colore terra e i ricami in calce. Per quanto mi incuriosiva quel palazzo le risposi "sono turista" e lei mi seguì dicendo "appunto per questo chiedo a te. Tutti vanno a visitarlo e pensavo arrivassi da lì". Aveva indosso il burqa e mi meravigliava il fatto cercasse confidenza. Mi fermai incuriosito dalla situazione più che da tutto il resto. Eravamo gli unici fermi in un angolo della città dove tutti sembrava proseguissero per una direzione. Di altri turisti però neanche l'ombra. Non volevo essere sgarbato e dissi "Posso vedere?" Quella tenuta tra le mani della ragazza somigliava a una guida della città. Era molto usurata e sfogliandolo le pagine presentavano foto e spazi occupati da parole scritte in arabo. Glielo restituì. "Sono appena arrivato, mi dispiace ma non posso aiutarti. Chiedi a qualcuno del posto.""Scusa per il disturbo ma sono qui da tre giorni e tu sei l'unico occidentale visto solo". Cercai di capire chi nascondesse quell'abito nero. Avevo sentito di turisti rapiti e assassinati e quella poteva essere un'esca. La guardai in quella fessura dove erano visibili gli occhi. Scoprì avesse occhi incandescenti tanto vivo era il colore. Sorpreso tentennai. "Sono uscito per comprare giusto un sapone. Sto tornando in albergo..." "L'hai dimenticato?" "No, cioè sì. Trascorrerò a Socotra i prossimi giorni e devo avere già tutto con me". "Quindi non l'hai trovato. Vieni con me ti porto nel miglior negozio". Insisteva un po' troppo per non avere un secondo fine che forse era semplicemente la ricerca di clienti cui proporre merce per ricavare una provvigione. Ero più infastidito che preoccupato. Le spiegai fosse la mia una spesa poco urgente e dunque preferivo tornare in camera. Proseguì. Dopo i primi passi mi voltai per vedere la sua reazione. Stava ferma col viso chino. L'avevo parecchio delusa. Avrei proseguito se mi avesse guardato e invece fui moralmente costretto a tornare sui miei passi. "Avrò sicuramente bisogno di un sapone, meglio se naturale. Ho poco tempo, se il posto che conosci è vicino ti seguo volentieri". "Siamo vicini al suq, ci vorranno pochi minuti. Lì troverai ciò che cerchi". "Sei molto giovane" lo si capiva dal poco mostrato e soprattutto dall'atteggiamento. "Ho 18 anni, tu?" "Qualcuno in più" "non molti…" "no, appena qualcuno". Cominciammo così la camminata addentrandoci per strette vie, strette a tal punto che i passaggi interrompevano ogni possibile conversazione. Arrivammo più o meno in breve sulla strada dove ogni negoziante lasciava in bella mostra la mercanzia. C'era di tutto e trovai difficile notare una differenza con i mercati del lontano passato, giusto i tappi in plastica e la stampa sulla cassette in legno indicanti la provenienza. Ricordo i mandarini dall'Arabia Saudita e qualcosa dall'Oman, poi ovunque barattoli di ogni misura e sacchi di iuta a contenere aromi spezie e quant'altro. Le ombre degli edifici erano rimaste le stesse e sbattute da secoli sulla pavimentazione. Mi fermai a una prima bancarella vedendo delle monete mischiate a banconote più o meno antiche. Presi la mazzetta col volto di Saddam Hussein e la ragazza tornò vicino. Aveva un buon profumo facilmente riconoscibile. "Ho un parente che abita in Siria. Lui ne ha quante ne vuoi di quelle". "L'Iraq di Saddam è uno dei posti che avrei voluto visitare. Guardo i disegni raffigurati per immaginare. Vedi ci sono le palme e la tasto per un'idea della qualità della carta." Erano privi di valore e diventati ormai dei ricordi o al massimo pezzi da collezione le banconote che tenevo tra le mani. Fino poco tempo prima invece erano risparmi che circolavano tra le mani di ignoti per comprare pane, frutta e quant'altro in vie trafficate di zone più volte immaginate. Le posai e proseguì sin quando la ragazza mi tirò per la maglia a indicarmi un negozio. Entrammo per quella che più di una porta era un'apertura sulla strada. All'interno piuttosto oscuro c'era gente a rovistare dentro cartoni contenenti articoli di svariato genere. Non c'erano ripiani. Abbastanza nascoste stavano incartate e sovrapposte delle stecche da mezzo metro con vicino un coltello. "Quanto ne vuoi?" Mi ripeté poi "Questo è sapone, quanto ne vuoi?" Quando capì cosa intendesse le indicai il pezzo che tagliò. Lo pesò su un'antica bilancia appesa al muro e andò alla cassa. Quando all'uscita mi porse il regalo le chiesi come si chiamasse "Nabila e tu?" "Max". "È il tuo nome?" "Mi chiamo Massimiliano". Il sapone era chiuso da ruvida carta e a stento mi stava nella tasca. A ogni passo mi faceva pendere i pantaloni. Arrivavo dal freddo dicembre e rallentavo nei brevi tratti in cui incontravamo il sole per goderne il calore. A uno degli ultimi raggi mi fermai. "Nabila, grazie per il tour. Adesso torniamo all'inizio", "Max, perché sei in Yemen?" Ridurre a un singolo motivo ogni viaggio è piuttosto complicato anche se a me in realtà mancava la Y. Non ci sono altri stati con questa iniziale. Risposi adducendo il motivo della mia visita alla prima volta in cui immaginai quel paese. "A Massawa in Eritrea la sera mangiavo in un ristorante Yemenita. Mi piaceva. Aveva qualcosa di particolare. Stava nascosto da un dedalo di stretti vicoli all'interno di antiche mura. I tavoli spartani stavano raccolti in un piccolo spiazzo con gatti affamati ad attendere avanzi. All'interno il locale aveva dei vecchi forni yemeniti dove cuoceva il pesce e veniva preparato un pane fantastico. Nabila, se ti va possiamo sederci a bere qualcosa". Le indicai il posto ancora illuminato dal sole. "Il nome del pane è Lahuh. Ti porto a mangiare la migliore carne di San'a. Vieni." Avevo pochi spiccioli, cinque euro, il resto rimasto in tasca di un collirio comprato in aeroporto e messo frettolosamente in tasca. Mi guidò a un baracchino dove ho mangiato arrosticini e Lahuh, lei no. Non c'erano tavolini dove sederci e parlavamo disposti in modo da sembrare non ci conoscessimo. Era un suo accorgimento. Mentre sfilavo tra i denti la carne abbiamo parlato un po', aveva delle domande. "Sei qui solo?" "Avrei voluto ma serviva troppo tempo per organizzare una visita a Socotra. Questa volta ho preferito aggregarmi a un gruppo." "Max, cosa rimane delle persone che incontri?" "Pian piano scompaiono." "Che cosa brutta mi stai dicendo" "sì, terribile" aggiunsi sorridendo. Ho mentito perché alcuni incontri sono per sempre il primo ricordo di un viaggio. Probabilmente intrecciare sensazioni ed emozioni lega quei momenti in modo indissolubile. Nabila era a San'a per il matrimonio della sorella. Trascorsi quei giorni sarebbe tornata al suo villaggio. Essendo forestiera e per giunta col burqa nessuna la poteva riconoscere, per questo si era avvicinata. Le ho detto avesse occhi unici, secondo lei invece erano comuni. Non ho capito se si riferisse allo Yemen, al suo paese o semplicemente alla sua famiglia. Prima di lasciarci mi chiese come fosse la vita in Italia. "Non so, sai, anch'io a volte me lo chiedo". Ho capito poco di quel momento sospettando mi tradisse. Era una sconosciuta cordiale e socievole in un luogo ritenuto ostile e pericoloso. Ero convinto che se fosse stata davvero come appariva doveva essere un incosciente. Sapeva invece muoversi senza destare attenzione. Lei aveva capito tutto e lo dimostrò quando le mostrai il foglietto con scritto un indirizzo. Mentre mi dava le indicazioni mi disse "Max, ho scelto te perché qui impariamo a gioire delle piccole cose. L'incontro di un momento può durare in eterno." Io non risposi continuando a sospettare. Veloce invece mi accompagnò sino una strada dove proseguendo arrivai dritto all'albergo. A distanza di anni, mi capita di riflettere sulle ultime parole sentite ai saluti:<Max, nella mente ho un altro dio. Ti porterò nel cuore dove si entra tutti uguali." Mi domando cosa realmente rappresentassi per lei.